Yucatán: 16 Siti Archeologici Tra Storia E Bellezza

Qualche articolo fa ti abbiamo fatto scoprire i siti archeologici Maya più conosciuti dello Yucatán. Lo trovi qui. La Penisola dello Yucatán era il cuore pulsante della civiltà precolombiana Maya. Piena di ricchezze, questa terra ha nutrito per generazioni i suoi abitanti e loro hanno lasciato a noi resti archeologici unici al mondo.

A fianco agli imponenti Chichén Itzá, Tulum, Kobá e Palenque, sorgono siti archeologici minori, ma non certo per bellezza e maestosità. Potrei azzardare dicendo che l’appellativo “minore” viene loro conferito solo per minore estensione o dimensione o, semplicemente, notorietà.

A mio parere, questa è una grande fortuna, perché ci si può immergere nella storia maya, assaporandone ogni aspetto senza alcun tipo di fretta.

Lontano dal vociare e dallo scorrazzare continuo di turisti di tutto il mondo, la magia che si riesce a percepire in questi luoghi è inimitabile. Ho avuto modo di constatarlo il giorno in cui di mattina ho visitato Tulum e nel pomeriggio Muyíl. Il primo era un continuo viavai di persone che impiegavano anche 15 minuti a farsi foto prendendo in ostaggio l’unica panchina panoramica che dà sull’Oceano. Il Templo de los Frescos è lontano dal camminamento pubblico e le parti colorate sono minime. Invece, sconosciuti a tanti, i resti di Muyíl si visitano con una piacevole camminata nella foresta immersi nel silenzio, al fresco e sono in gran parte ancora colorati. I siti più rinomati hanno perso molti privilegi.

Tuttavia, come tra i più piccoli paesini d’Italia si scovano dei veri tesori preziosi, anche negli angoli più inimmaginabili dello Yucatán si nascondono inaspettate meraviglie. 

 Scopriamo insieme i restanti gioielli yucatechi!

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Acancéh

Acancéh significa “bramito di cervo” in lingua maya e di questo sito sono riusciti a conservare ben due complessi architettonici: una piramide ed il Palacio de los Estucos. 

L’imponenza della piramide alta 11 metri con un perimetro totale di 128 metri, secondo tanti, è un richiamo all’immensa piramide di Teotihuacán (a nord dello Yucatán). Ciò che, però, qui è di maggiore rilevanza sono stucchi di dei e divinità soprannaturali, di otto maschere gigantesche rappresentanti teste umane e ceramiche tipiche della zona dell’attuale Città del Messico. Questo connubio fa pensare che ci siano potuti essere scambi commerciali e politici tra le zone in tempi precolombiani.

Negli ultimi tempi sono stati ritrovati anche altri edifici attualmente chiusi al pubblico, ma confido che presto diventino visitabili.

Aké

Aké in lingua maya vuol dire “luogo di viti”, dato che in questa zona la vite cresce rigogliosa e forte. Tuttavia, l’aspetto che contraddistingue questo sito è il suo Sacbeoob, ossia il sistema di strade. Apparentemente, la sua sacbé (strada) principale si connette al sito di Izamál, di cui ti parlerò più avanti, a 40km di distanza, a porti, saline e alle altre principali città yucateche.

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La sua struttura della città ricalca quella di una semplice città, ma la sua peculiarità risiede nell’essere circondata da due muri concentrici e rettangolari che percorrono più di 4 km². Il primo protegge il centro della città, mentre il secondo racchiude tutte le case. A questo si aggiunge l’Edificio de las Pilastras con 35 pilastri di pietra bianca che sormontano enormi dischi di pietra alla fine di una colossale e ripida scalinata.

Balankanche

La storia di questo punto archeologico è molto avvincente. Nel 1959 la guida turistica José Humberto Gómez rinviene un labirinto di cunicoli, dietro un falso muro. Questa rete di stradine scendeva in una grotta e la scoperta è stata straordinaria: centinaia di ceramiche, oggetti in pietra e gioielli di ogni tipo, che hanno fatto pensare che si trattasse di un luogo cerimoniale. Gli studiosi dell’Instituto Nacionál de Antropología e Historia hanno reso accessibile la cava, trasformandola in un vero e proprio museo sotterraneo. Gli oggetti sistemati come all’epoca in cui venivano utilizzati e tantissime stalattiti che circondano un’enorme stalagmite centrale, quasi a sembrare un albero sacro, rendono l’atmosfera più unica che rara! 

Chacchobén

Chacchobén, pronunciato “ciàk-ciò-bén”, in lingua originale equivale a “luogo del mais rosso”. Anche la storia di questo sito archeologico ha dello straordinario!

Fu individuato dall’archeologo Peter Harrison da un semplice viaggio in elicottero. Egli dichiarò che le colline sorgevano troppo spontaneamente lungo tutto quelle distese pianeggianti e perciò nascondevano qualcosa: templi, piramidi, una vera città! Gli scavi iniziano nel 1994, ma solo nel 2002 vengono aperti al pubblico. Percorrendo un sentiero circolare, tra foreste e fiori tropicali, armadilli, cervi, volpi, scimmie ed uccelli coloratissimi, si passeggia ai piedi di tre piramidi, alte mura e tante ripide scalinate! In alcuni tratti si può scorgere perfino del colore rosso!

Da segnalare qui:

  • Il Gran Basamento, che ospita edifici pubblici, un calendario agricolo e quelli cerimoniali tra cui templi inaccessibili.
  • Las Rutas raggruppano la zona residenziale delle classi dirigenti.
  • Grupo II comprende grandi edifici amministrativi e case.
Dzibilchaltún

Dzibilchaltún è il luogo “dove ci sono scritture sulla pietra”. Esteso su 16 km², si sviluppa su base concentrica con 8400 strutture. Dal centro, dove si trovano monumenti più imponenti, come la Plaza Centrál, la loro grandezza va poi a diminuire e a spargersi lungo il raggio d’estensione. Qui, c’è anche il Cenote Xlacah con i suoi 40 metri di profondità.

L’edificio più rilevante qui è il Templo de las Siete Muñecas, il Tempio delle sette bambole. È stato rinominato così per via di sette piccole statue di argilla rinvenute dai primi archeologi nel 1950. La peculiarità magica di questo tempio è la modalità di costruzione: nel giorno dell’equinozio di primavera, i raggi del sole penetrano da una finestra e ne escono da un’altra senza toccare i muri! Si crea un fascio di luce che taglia in due la stanza e l’effetto è straordinario.

Per i più appassionati, a Dzibilchaltún c’è anche il Museo del Pueblo Maya sulla storia, sugli usi e costumi del popolo maya.

Ek Balam

Conosciuta anche come “giaguaro nero”, Ek Balam fu una ricchissima capitale dell’Impero Maya, hanno ipotizzato gli archeologi. Questo grazie ai numerosi lasciti di pittura murale, opere di alta abilità e fine qualità artistica. Si tratta di dipinti a copertura dei soffitti con pitture monocromatiche e non che narrano episodi salienti della città. Per questi, Ek Balam risulta essere uno dei migliori siti d’arte maya: lo stile pittorico è degno dei più bravi pittori d’Occidente, poiché dotati di proporzioni ed espressività artistica d’eccellenza.

Tuttavia, la zona archeologica non è ancora completamente restaurata e questo non permette di godere appieno delle meraviglie di questo sito. Ciononostante, oggi si possono ammirare una maestosa piramide centrale, due grandi palazzi e numerosi templi e palazzi. Tutto il sito è circondato da muri concentrici e, anche qui, come a Chichén Itzá, c’è un campo da Juego de la Pelota. Si contano 45 strutture totali e su alcune si può ancora salire! Una di queste è l’Acropoli con una scala di 32 metri molto ripida ed è l’edificio più grande tra tutti, con decorazioni degne di nota, giacché conservate molto bene!

Izamál

Izamál è “la città dei colline” ed è unica nel suo genere, poiché al suo interno compaiono sia edifici dei coloni spagnoli, sia costruzioni moderne dei nostri giorni.

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Ha goduto di spessa rilevanza perché era il centro di culto del dio Itzmatúl, oltre ad avere monumenti colossali realizzati con giganteschi blocchi di pietra rotondi. La piramide di Kinich Kak Moo è la più importante. Dedicata al dio Sole, si erige su una base di 200x200m con un’altezza di 34 metri. Altri monumenti sono la piramide di  Itzamatúl Hun Pik Toky ed il Templo de Kabúl. Il Convento, che si incontra qui, è il lascito architettonico dei missionari francescani, uno dei più significativi.

Kabah

Parco statale dello Yucatán dal 1933, dà un formale benvenuto con un arco megalitico. Il suo nome molto probabilmente vuol dire “mano dura”. Le sue strutture sono solo in parte visibili perché coperte dalla foresta. Anche qui si ipotizza una città esistente sotto i colli circostanti, però non ci sono ancora progetti di scavo. La sua estensione ricopre solo 1km², ma la qualità dei resti è notevole. Si sottolinea qui l’importanza di 3 edifici in principal modo: El Palacio e El Templo de los Mascarones, o Codz Poop (stella arrotolata). 

Il Palazzo, chiamato anche Teocalli, è la struttura più grande. Una scalinata centrale collega la base rialzata con altari a due piani di rispettivamente 32 e 36 stanze, mentre un secondo edificio lo collega al Codz Poop, il Tempio delle Maschere. È così chiamato per via dell’intensa decorazione di tre delle sue facciate con più di 250 facce del dio Chaac, dio della pioggia.

Labná

Labná significa  “casa vecchia o abbandonata” e rispetto agli altri siti è molto più piccolo: solo 2,2 km², ma è molto conosciuto per “l’Arco”, una struttura in pietra decorata con serpenti incisi a mano e maschere ai lati. Tra El Palacio e El Mirador, dal quale si gode di un bel panorama, si scorgono torri decorate con stucchi dell’albero della vita. Per questo, si ipotizza sia esistito un recinto sacro intorno all’insediamento.

Maní

Anche la storia di questo sito è molto particolare e abbastanza triste. Maní è stato, tra i tanti, teatro di scempi e distruzione spagnola. Decine e decine di libri con geroglifici maya, codici linguistici (5000 idioletti perduti) e vasi cerimoniali vennero bruciati in un rito inquisitorio da Diego de Landa nel 1562. Secondo questo frate, quegli scritti non contenevano altro che “le menzogne del diavolo”. D’altro canto nel 1549 era già stato costruito il Monasterio de San Minguel Arcangel con pietre prese da abitazioni maya rase al suolo. Ad oggi, il Convento è uno dei monumenti più importanti di arte sacra yucateca. Di fatti, vi si trovano all’interno affreschi murali di epoca coloniale.

Mayapán

Questo luogo è stato concepito come imitazione in miniatura di Chichén Itzá. Infatti ci sono una piramide centrale, El Castillo de Kukulcán; templi modesti, di cui rimangono solo i basamenti, e ruderi di abitazioni. Ciò che risalta qui è la presenza di varie costruzioni circolari che si ipotizza siano osservatori e nicchie dipinte con pitture murali.

Oxkintok

Oxkintok vuol dire “tre giorni duri” o “tre soli taglianti” e di esso non rimane granché. Oggi si conservano solo iscrizioni geroglifiche maya e colonne antropomorfe in pietra raffiguranti guerrieri, divinità e signori della città. El Laberinto o Tzat Tun Tzat è ciò che maggiormente incuriosisce i visitatori: è costruito su tre livelli che culminano in una camera mortuaria con i resti di un gran nobile di epoca precolombiana.

Sayíl

Sayil o “luogo delle formiche operaie”, ha un grande Palacio che si sviluppa su 3 livelli e numerose stanze ed è la costruzione più grande. In aggiunta, ci sono un piccolo Juego de la Pelota, un altro Palacio Sur e El Mirador, ormai ridotto ad tempio cadente. Tutti gli edifici sono collegati da bianchi camminamenti in pietra.

Uxmál

Dalla lingua maya, Uxmal significa “costruita tre volte”, anche se è stata ricostruita ben cinque volte! Alla sua entrata c’era un Arco di 6 metri di altezza e gli edifici, molto vari tra loro, hanno un ordine davvero straordinario: alcuni si adattano alla topografia del territorio, altri sono sistemati secondo fenomeni astronomici legati al pianeta Venere.

Uxmál

Gli edifici degni di nota sono:

  • Juego de la Pelota, molto più ridotto di quello di Chichen itza
  • Palacio del Gobernador:
    il Palazzo del Governatore è molto esteso e riccamente decorato con mosaici in pietra e disegni geometrici dedicati al pianeta Venere. Anche qui, file di maschere del dio Chaac e una “Piattaforma dei Giaguari”, dov’è un altare cerimoniale.
  • Cuadrángulo de las Monjas:
    il Quadrilatero delle suore è un esemplare architettonico monumentale e raffinato. È stato cambiato dai conquistadores per un convento, per via dello spiazzo centrale quadrato intorno a 74 stanze e da qui il suo nome. In realtà, era un edificio amministrativo. Anche qui, fasce orizzontali di maschere del dio Chaac e stilizzazioni di serpenti che rappresentano il dio Quetzalcoatl.
  • Piramide del Adivino:
    la Piramide dell’Indovino è una fenomenale piramide a base ellittica alta circa 30m. Si stima abbia subito cinque diverse fasi di costruzione.
  • Gran Pirámide:
    È alta 32 metri e solo la sua facciata nord è stata restaurata. Ha una scalinata disposta su nove livelli e alla sommità c’è un tempietto con la maschera del dio Chaac, animali ed elementi geometrici.
  • El Palomar:
    la Colombaia è ormai in gran parte sprofondata nella giungla. Il suo nome è dovuto al tetto con motivi geometrici che riprendono le colombaie moresche.
  • La Casa da las tortugas:
    la Casa delle tartarughe è una sorta di depandence del Palazzo del Governatore ed è chiamato così in onore delle tartarughe che la abbelliscono.
Yaxuná

Questo sito archeologico trasuda anni e anni di saccheggi, guerre e conquiste. Si pensa siano esistite grandi piramidi sulle sue terre, ma ora di esso rimane poco e nulla, ad eccezione di mura di protezione e ombre di strade comunicanti.

X´Cambó

Xcambó è il “coccodrillo celestiale” o il “luogo dove si baratta”. Il fulcro di principale attrazione è la Plaza Principál composta da 11 edifici tra cui la Pirámide de los Mascarones, la Pirámide de la Cruz e il Templo de los Sacrificios. Tutti unici nel loro genere, poiché costruiti combinando vari stili architettonici tra stucchi e pitture, enormi pietre con angoli arrotondati e lunghe scalinate. Ad oggi, è anche luogo di pellegrinaggi e di culto della Virgen Maná, che si festeggia ogni maggio.

 

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Articolo di Donatella D’Anniballe

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Redazione Zaino in Viaggio

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