Ci sono alcuni viaggi che sono circondati da un alone di mistero e di mitologia e la Transmongolica è uno di questi: migliaia di chilometri di rotaie per attraversare due continenti e tre Paesi, dalla Russia alla Cina (o viceversa) passando per la Mongolia.
Ma in un contesto in cui i voli internazionali costano sempre meno e sono sempre più rapidi, perché si dovrebbe fare una scelta del genere? La Transmongolica richiede settimane (anche volendola ridurre al minimo e non scendere mai, sarebbe stupido cercare di farla in meno di 3 settimane), per la maggior parte delle quali non si fa niente se non stare seduti in un treno, senza internet, senza televisione, senza la possibilità di scendere, in uno spazio vitale minimo e senza privacy. Sì perché nel migliori dei casi, in prima e seconda classe, avrete una cabina da dividere tra due o quattro persone, ma in terza vi troverete a dividere un’intera carrozza del treno con tutti i suoi occupanti. Che fascino ha un viaggio del genere? Che benefici porta?
Proprio questi.
È l’emblema del viaggiare lento, o per usare un inglesismo molto amato, dello slow travel: una modalità di viaggiare che rinnega l’aereo in favore di altri mezzi di trasporto, più lenti ma che permettono di vedere il paesaggio che cambia e di assaporare la cultura locale, che si ispira al modo di muoversi della gente del posto e all’integrazione con la cultura locale.
Prendendo un aereo si saltano gran parte delle tappe di un viaggio. Ci si reca in un aeroporto nella città di partenza, si attraversano controlli di sicurezza uguali in ogni parte del mondo e si parla in inglese con il personale, a cui di solito è richiesto di conoscerlo, si fa shopping e si mangia in catene internazionali identiche in ogni parte del mondo. Poi si sale su un aeroplano e, in poche ore di volo, eccoci arrivati a destinazione, scaricati dall’altra parte del mondo in un aeroporto che è praticamente identico a quello di partenza. In un mondo che va sempre di fretta, in cui le vacanze sono poche e le cose da vedere tante, è normale che questo sia il mezzo prediletto, ma è un tipo di viaggio “veloce”, un fast travel che funziona proprio come un fast food: internazionale, di massa, non di sostanza ma di voracità.
Non vorresti poter scendere dalla giostra, vedere i paesaggi cambiare lentamente, i lineamenti modificarsi, il tempo scorrere in modo uniforme come il treno sullo rotaie? Questo è quello che permette di fare la Transmongolica, ed è per questo che l’abbiamo percorsa tutta, in terza classe.
Ci si imbarca a Mosca o a san Pietroburgo (ma i veri puristi dello slow travel partono via terra dall’Italia, purtroppo questa opzione però costa più dell’intera transiberiana probabilmente), nella Russia più commerciale. Qualcuno parla inglese, la stazione è grande e facile da trovare, il cibo è occidentale, i compagni di treno sono alti e biondi. Ci si trova stipati in questo vagone tutti insieme, e subito i russi cominciano a mangiare: tirano fuori di tutto, dalle uova al formaggio, dai pomodori alla carne. Provano anche ad interagire con te, ma nessuno parla inglese. E così ti parlano in russo. E tu rispondi in italiano, e in qualche modo, incomprensibile a chi non abbia mai fatto un viaggio del genere, ci si capisce.
Le cuccette sono comode e la temperatura piacevole, e con dei buoni tappi per le orecchie per cancellare il rumore dell’umanità con cui condividi la stanza, si dorme benissimo, cullati dal treno. Le ore di veglia scorrono come se l’orologio fosse impazzito: a tratti lentissime, sembra che le lancette non si muovano di un centimetro, che la prossima stazione non arrivi mai. A tratti corrono come pazze, basta stare a guardare fuori dal finestrino e d’improvviso si sono già percorsi centinaia di chilometri. Intanto l’Europa ha lasciato il posto all’Asia (eh sì, vicino a Ekaterinburg, una delle fermate più interessanti, passa il confine fisico tra i due continenti, è anche possibile visitare il punto esatto) e anche sul treno le facce iniziano a cambiare. Sono sempre russi, ma sono più bassi, più scuri e gli occhi cominciano a stringersi in fessure. Il treno passa accanto a boschi di conifere, fiumi immensi e anche al lago più profondo al mondo (il lago Baikal) e in un attimo (per i tempi dello slow travel, almeno) ci si trova al confine con la Mongolia.
Attraversare un confine fisico è un’esperienza interessante a cui il viaggio in aereo ci ha disabituato: proprio come in aereo, c’è un confine di uscita da un Paese e uno di entrata nell’altro, ma nel mezzo non c’è un volo. Di solito ci sono pochi passi da fare a piedi, in treno o in auto. E ti sembra incredibile che a quella poca distanza ci fosse qualcosa di così diverso eppure di così uguale!
In Mongolia cambia tutto. Il paesaggio dal finestrino diventa straordinariamente ipnotico, tutto uguale nella sua diversità: montagne, colline, steppa a perdita d’occhio, e piccole ger bianche, le tipiche tende dei nomadi mongoli, che sbucano qua e là come margherite. E gli animali. Animali liberi ovunque, non sembra vero. Mucche, cavalli, pecore, capre e persino cammelli camminano liberi nella natura incontaminata della Mongolia. Sembra che siano loro i padroni e non le auto e le strade.
Qui in Mongolia sono i re dello slow travel, è l’unico possibile: le strade sono perlopiù sterrate, ci si muove lentamente su questi paesaggi lunari bellissimi e selvaggi, cercando di non investire qualche branco di passaggio.
Se vuoi veramente scoprire cosa significa non solo viaggiare lentamente ma anche vivere in questo modo, vivere qualche giorno con una famiglia di nomadi mongoli è l’esperienza più bella che si possa fare. In pochi luoghi al mondo si vive ancora in questo modo, legati alla terra e ai suoi capricci, agli animali e ai loro bisogni. Senza comodità, senza frigo e senza toilette, possedendo solo quello che si può spostare. Un modo meravigliosamente semplice di vivere, lontano dal fragore della vita che crediamo essere l’unica possibile. Ma questa è un’altra storia!
È ora di ripartire, il treno ci aspetta: da Ulan Bator ci sono altre 24 ore di treno per raggiungere Pechino. Una città che da sola ha più degli abitanti dell’intera Mongolia, un trauma. Il treno passa accanto alla Grande Muraglia, purtroppo di notte, a paesini minuscoli e a metropoli cinesi, a fiumi e campi coltivati. Dopo il cielo terso della Mongolia, quello grigiastro della Cina fa un po’ effetto, ma almeno qui il cibo è migliore!
Ed eccola lì, brulicante, viva, caldissima: Pechino, la capitale cinese. Il viaggio si conclude qui, di solito con un volo (ahimé). Ma può anche continuare. Il viaggio lento è bello perché costa poco e rende tanto: più ti allontani, più chilometri percorri con i tuoi piedi, più ti senti ricco. Perché fermarsi proprio ora?
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Articolo di Ilaria Cazziol (di ViaggioSoloAndata.it)